CON LO SGUARDO OLTRE
CON LO SGUARDO OLTRE
«Vogliamo
vedere quegli occhi
che
passano la parete del petto
e la carne del cuore,
e
guariscono quando guardano con tenerezza…
Tu
sai quanto sia grande, proprio per questo tempo,
il
bisogno del tuo sguardo e della tua parola.
Tu
lo sai bene che un tuo sguardo può stravolgere e mutare le nostre anime».
Giovanni Papini, Storia di Cristo (1921)
Poiché
ho davanti agli occhi la tua benevolenza
e cammino nella tua verità. Sal 26:3
“Con lo sguardo oltre”
Educare allo sguardo è educare al pensiero
Carissimi,
mi rivolgo a voi con una profonda nostalgia! In questi mesi mi sono mancati gli sguardi di tutti gli studenti, i visi pieni di stupore dei piccoli, i volti a volte stanchi e preoccupati dei grandi.
Più volte durante questo look down passeggiando per i corridoi deserti mi sono soffermato ad osservare dalla finestra ciò che vedevo.
In questi mesi ho educato il mio sguardo, ho scoperto tanti angoli
straordinari del Rotondi: la Cappella con le sue vetrate, gli affreschi e i
capitelli del portico, le antiche ghiacciaie…
Ho guardato, ma non ho incrociato i vostri sguardi.
Così mi sono reso conto di
come insegnare, ovvero tessere l’arte dell’incontro, in tempi difficili, possa
essere un atto di coraggio, una sfida, che ha una portata sociale che per noi
diviene fondamentale e necessita l’incrocio dello sguardo attraverso
l’incontro.
C’è un linguaggio universale, a cui appartiene la delicata arte
dell’insegnare: riguarda la relazione, e il fatto di riconoscere, nella
relazione, la singolarità di ogni individuo.
I questi mesi di “astinenza” dagli sguardi, resi possibili solo
dai pixel dei nostri schermi, abbiamo scoperto il desiderio dell’attesa
dell’incontro.
«In verità siamo tutti in attesa», scriveva Pavese nel breve
racconto “Piscina feriale”: «Siamo tutti inquieti, chi seduto e chi disteso,
qualcuno contorto, e dentro di noi c’è un vuoto, un’attesa che ci fa trasalire
la pelle nuda». E che cosa aspettiamo?
Ognuno di noi è in attesa del suo compimento, che si compia il suo desiderio.
Ma non potremo mai compiere questa attesa attraverso degli
schermi, o degli occhiali che «aumentano la realtà», ma solamente allenando gli
occhi a scorgere i prodigi incastrati nel quotidiano.
I nostri occhi, proprio chiudendosi possono aprirsi davvero: per
questo indovini e poeti del mito sono spesso ciechi. Non viviamo il compimento
dello stupore perché non instauriamo la giusta intimità con le cose e le
persone che ci circondano: siamo uomini la cui soglia di attenzione dura pochi
secondi, divoriamo senza gustare, preferiamo la superficie al tutto.
In questi mesi ci siamo fermati; costretti, ma ci siamo fermati.
Ora dobbiamo chiederci come ripartire. Il rischio della ripartenza comporta la
necessità di prevedere dei momenti di pausa per educare il nostro sguardo.
Alla nostra generazione segnata dalla fretta dell’azione viene
chiesto di riscoprire l’importanza della contemplazione. Azione e contemplazione
sono sistole e diastole della vita: più si esagera da una parte più l’altra
reclama i suoi privilegi, perché il cuore senza azione rinsecchisce, senza
contemplazione marcisce.
Fermarsi non vuol dire rimanere immobili, ma stabili, che è il contrario
di instabile, colui che non si ferma mai, e perciò s’ammala. Fermarsi è creare
ogni giorno spazi di intimità che permettono al quotidiano di allargare gli
orizzonti della nostra mente e trovare lo spazio per contemplare.
Si contempla solo a partire da un limite, come Leopardi dalla sua
siepe. Contemplare è il guardare che conduce ad amare: solo educandoci all’arte
del contemplare è possibile una relazione vera col mondo.
Contemplare è dedicare tempo per gustare il creato, ascoltare i
suoni della natura, avere la visione oggettiva che la realtà merita.
Una recente ricerca inglese ha lanciato un allarme: l’infanzia
libera e spensierata è ormai un ricordo. I bambini sono troppo impegnati, hanno
poco tempo libero. I bambini di oggi sono oberati di impegni e non hanno più
tempo da gestire in piena autonomia: tra la scuola, i compiti, lo sport, la
musica, il catechismo e tutte le altre attività che vengono messe in agenda con
l’intento di garantire esperienze formative e divertimento, si è finito per rubar
loro parte della bellezza dell’infanzia, privandoli del tempo per sé, del gioco
indipendente, della libera e creativa espressione.
Il clima di accelerazione storica che contraddistingue la nostra
società, con i suoi ritmi sempre più frenetici e vorticosi, ha investito anche
la scuola, che spesso non rispetta i tempi di apprendimento dei bambini e li
costringe ad una spasmodica corsa, finalizzata al raggiungimento di sempre più
incalzanti obiettivi e alla realizzazione delle più varie proposte progettuali.
A questi elementi va aggiunta la frenetica e invasiva stimolazione mediatica e
tecnologica che scandisce la quotidianità di tutte le fasce della popolazione,
soprattutto dei bambini e degli adolescenti.
Bisogna avere il coraggio di investire in quella che potrebbe
sembrare una perdita! Ma “perdere tempo” e fermarsi a contemplare è l’unico
modo per “guadagnarne”, evidenziando come quello che a volte appare tempo perso
risulti essere, in realtà, il modo più adatto per favorire i processi di
apprendimento e di crescita globale degli alunni e delle alunne. Fermarsi non
vuol dire essere immobile, ma trovare stabilità, cioè creare ogni giorno spazi
di intimità che permettono al quotidiano di farci guardare oltre i limiti e le
difficoltà.
Risulta pertanto fondamentale nel campo dell’educazione, oggi più
che mai, fermarsi e chiedersi dove andare, quali mete raggiungere, con quali
strumenti e mezzi, con quali compagni svolgere il proprio viaggio.
Fermarsi significa esercitarsi alla meraviglia e allo stupore.
A quale sguardo educhiamo i nostri ragazzi quest’anno? Li vogliamo educare a guardare con occhi
nuovi e a vedere cosa c’è dietro ad ogni persona e a ogni cosa: vedere oltre
l’apparenza, la facciata, i pregiudizi, vedere da altre angolazioni e punti di
vista. Li vogliamo educare ad essere costruttori di un immaginario personale
che sia espressione della possibilità di vedere “altro e oltre” la realtà di
tutti i giorni, così come afferma Proust: “Il vero viaggio della scoperta non
consiste nel cercare nuove terre ma nel vedere con occhi nuovi”
Educhiamo lo sguardo partendo da noi stessi
La diversità, di pensiero, di tradizione, di costumi, di razza,
dovrebbe aiutare ad aprire lo sguardo sulla propria identità, perché è nel
dialogo con l'altro che scopro la mia e l'altrui unicità. Osservando le
differenze, quali occasioni di crescita e di confronto, l’alunno è chiamato a
riscoprire la propria identità.
Educare allo sguardo significa educare alle emozioni. Riflettendo
ancora sulla necessità di non fermarsi alla superficie di ciò che si vede, alla
“facciata” e all’esteriorità delle persone e delle cose, attraverso la capacità
di pensare in modo non scontato, senza cedere ai luoghi comuni e alla banalità,
occorre evidenziare che risulta di prioritaria importanza educare i ragazzi a
scoprire la propria personalità.
Questo significa ampliare e illuminare la vita emozionale e
permettere a ognuno di valorizzare sé stesso attraverso l’espressione della
propria originalità. Ma significa anche accogliere ed aprirsi alla vita dell’altro,
educandosi a mettersi nei panni dell’altro per sviluppare empatia. Significa
anche educare alla diversità. Una didattica in cui si promuove uno sguardo
creativo educa il ragazzo a guardare e valutare l’alterità come occasione di
crescita e di novità.
Lo sguardo verso l’altro deve essere uno sguardo di rispetto. Il termine rispetto deriva dal
latino “respicere” cioè guardare, volgere lo sguardo.
Rispettare significa accorgersi dell’altro, prestare attenzione alla sua
individualità.
Chi non dimora nell’arte dello sguardo e della contemplazione e si
lascia andare a interpretazioni, non sa trattenere, corre veloce chiudendo
molte porte. Il guardare è contemplazione, quando attende la domanda
che apre un varco verso l’altro. Spesso ci troviamo spesso di fronte all’altro
investendolo dei nostri desideri, decidendo quale possa essere il bene o il
male per il nostro interlocutore. Ma questo atteggiamento non libera la libertà
dell’altro e lo priva della sua personalità.
Cosa sappiamo noi di cosa possa desiderare il nostro
prossimo? Allora dobbiamo impegnarci a guardare, dobbiamo esercitare i nostri
occhi allo sguardo, e liberarci della nostra opinione.
In questo anno incontreremo sguardi che sfuggono e che
vanno di fretta, incontreremo sguardi offuscati dalle lacrime, occhi ciechi che
non guardano più verso l’alto e non chiedono aiuto. Di fronte a tali sguardi
dovremo solo osservare e aspettare. Chi sei tu, genitore, educatore, docente
che irrompi, stravolgi, esterni i tuoi pensieri e le tue interpretazioni
sull’altro? Chi sei tu studente che selezioni le persone con cui condividere il
tuo cammino o classifichi i tuoi educatori o compagni secondo il tuo
gusto?
E allora fermiamoci a guardare. Guarda bene che ci sia
lo spazio per osservare la realtà che ci circonda. Quando si apre un piccolo
varco, entra sussurrando e dai vita allo sguardo, incontra l’angoscia di quegli
occhi e lasciali liberi di sfuggire.
L’educazione riguarda la libertà, non solo la tua ma anche quella
dell’altro.
Chi hai di fronte ha un compito più faticoso del tuo. Gli hai
domandato di fidarsi, di affidarsi. Gli hai domandato di mostrarti la sua
fragilità e le sue paure e tu hai il compito di guardare e contemplare la
grazia di quel segreto. Lui potrà decidere se scegliere la strada che gli stai
indicando o se sceglierne un’altra.
Guarda la direzione che prende e accompagnalo solo per
un pezzo di strada, ma prima di augurargli buon viaggio invitalo a rallentare
il passo e a specchiarsi nei tuoi occhi: è importante che possa vedersi e possa
ancora immaginare sé stesso nel futuro.
Non c’è onore più grande di quello che viene dato all’educatore:
portare la testimonianza della speranza che vive in noi e mostrarla all’altro
attraverso lo specchio del nostro sguardo ai ragazzi. Per questo occorre che gli studenti tornino a
guardare i docenti con uno sguardo diverso. I bambini e i ragazzi devono
guardare agli educatori con occhi pieni di rispetto, di attenzione e di
ammirazione. Guardare, sospendere i giudizi e rallentare. Entrare in
ascolto della voce intima e segreta dell’altro. Guardare è un
atto di delicatezza e di cura: è un primo incontro gentile e lento, in cui non
si consuma, in cui il tempo è sospeso e attende sorprese.
Senza una pausa che dedichiamo allo sguardo non possiamo avere
nessuna visione e nessuna progettualità. Senza uno sguardo “contemplativo e
riflessivo” cadiamo nella competizione e nel materialismo dove l’individuo vale
non per ciò che è ma per ciò che produce.
Questo è il rischio che si corre negli ambienti competitivi nei
quali i ragazzi non sono accettati per quello che sono, ma giudicati (e
giudicare è diverso dal valutare) per quello che fanno, messi continuamente a
confronto tra loro, spronati non a dare il proprio meglio ma ad adattarsi a una
griglia di valutazione e di giudizio che viene dall’esterno, spesso neanche
dalla scuola ma dal mercato. Se la vita deve essere una folle corsa nella quale
conta solo chi arriva al primo posto, già il secondo classificato rischia di
sentirsi inutile e perdente.
Cosa possiamo fare per cambiare il nostro modo di guardare?
Anzitutto smetterla di giudicare il prossimo secondo criteri di produttività e
competizione; ricordarci vicendevolmente che nessuno può permettersi di dare
giudizi sul nostro prossimo (altro è valutare una performance, dando
restituzioni di realtà anche sugli errori, altro è svalutare la persona).
Occorre poi affinare la capacità di ascolto che ovviamente non è
solo verbale ma anche corporeo (un ragazzo che inizia a trascurarsi sta già
dando un segnale), osservare i comportamenti quotidiani e soprattutto
accogliere i silenzi che sono la prima e più importante forma di comunicazione
degli adolescenti.
Infine, e forse questo è l’aspetto più importante, avere il
coraggio di parlare del limite e della morte. Il limite fa parte
dell’esperienza umana, così come il fallimento. Se educhiamo ad un pensiero che
non contempla il limite e la finitudine ci stiamo solo illudendo.
Partiamo dalle nostre fragilità, dai nostri limiti: non dobbiamo
diventare prigionieri di essi ma dobbiamo educarci ad andare incontro alla
bellezza che ci sta davanti. Educarci allo sguardo è educarci al pensiero:
educarci a non misurare i nostri successi o fallimenti sul breve periodo, ma considerandoli
nell’insieme della nostra vita e in una progettualità molto più ampia.
Guardiamo oltre il domani!
Carissimi ragazzi, abbiamo bisogno di allungare i nostri sguardi
oltre l’orizzonte della finitezza umana: dobbiamo imparare con grande realismo a
superare i nostri limiti e solcare gli orizzonti vasti e sconfinati che ci si
aprono innanzi. Per avere questo sguardo occorre uno studio rigoroso e
approfondito: comprendere da dove veniamo, riscoprire (come abbiamo fatto lo
scorso anno) le nostre radici, la nostra cultura, la nostra identità. Senza uno
studio approfondito ed appassionato, non potremo mai avere una visione chiara
sul nostro futuro.
Nell’Infinto, Leopardi immagina di trovarsi in un luogo che ama
frequentare abitualmente: un colle solitario. Solo in cima al colle, in uno
spazio delimitato da una siepe, il poeta siede e guarda, ma non riesce a
vedere: proprio questo fa scattare il meccanismo immaginativo. Si tratta di
un'esperienza paradossale: non è la possibilità di vedere dall'alto ampi spazi,
ma l’ostacolo alla vista, l'esperienza dei limiti umani, a suggerire idea di
infinito.
Guardiamo oltre la siepe! Coltiviamo uno sguardo profondo,
impariamo a coltivare lo stupore della meraviglia. La meraviglia è l’aspetto
luminoso del dubbio, si sofferma sugli oggetti come se li vedesse per la prima
volta, interrogandosi sul loro significato. Lo sguardo si posa sulle cose
pietrificate dalla banalità, animandole e rendendole straordinarie…
Nella nostra epoca c’è un grande ostacolo alla meraviglia. L’uomo
contemporaneo è ridotto unicamente alla dimensione della produttività, del
lavoro, della tecnologia, di consumi… divenendo schiavo di esse, ma credendo di
esserne il padrone.
La meraviglia deve essere accompagnata dalla curiosità.
Tramite la curiosità l’uomo si è evoluto, ha costruito e ha
inventato strumenti che hanno semplificato la vita. Abbiamo scoperto medicine e
vaccini per sconfiggere le malattie, introdotto nuove tecnologie per
comunicare, studiare e immagazzinare dati. Oggi con tutta la conoscenza che
abbiamo a disposizione, avremmo dovuto abitare una società perfetta,
ma non è così perché molte volte ci lasciamo condizionare da alcune apparenze
che anticipano questo nostro stimolo primordiale.
L’uomo è sottoposto, oggi più di ieri, a continui inganni
attraverso l’apparenza utilizzata per scopi personali che impongono un freno
inconscio all’umanità, tramite i media. I media e la pubblicità sono il
migliore esempio per spiegare come la nostra curiosità subisce questo freno
intellettuale. Ma la responsabilità di scegliere ciò che è meglio per
noi è in nostro possesso.
La pubblicità e i media, con le nuove tecnologie se sfruttate
bene, possono essere grande fonte di cultura e stimolo di curiosità, ma al
contrario frenano le menti di molti a causa dell’ufficialità delle informazioni
uscenti, rafforzate spesso da un misto di menzogne mescolate a mezze
verità. Proprio perché crediamo che
accanto alla tradizione occorra essere aperti a ogni forma di innovazione, nel
prossimo anno inaugureremo un nuovo laboratorio di realtà virtuale e aumentata,
o realtà mediata, per favorire nei nostri studenti l'arricchimento della
percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e
convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque
sensi. Un laboratorio all’avanguardia
che stimolerà nei nostri studenti la voglia di scoprire, conoscere e
approfondire la realtà che li circonda in una modalità nuova e stimolante.
Occorre dunque volgere lo sguardo oltre il limite e la finitezza e
non lasciarsi ingannare dalle ‘Apparenze’. Soprattutto quelle che a prima vista
possono sembrare piacevoli, ma che nascondono un’altra realtà. E’ solo
rimuovendo questo freno intellettuale che saremo in grado di avere una visione
più ampia e veritiera del mondo che ci circonda, e solo allora ci renderemo
conto che la realtà intorno a noi è feconda e gravida di promesse.
Desiderosi di guardare oltre, vi comunico con grande orgoglio che
dal prossimo anno accademico apriremo al Rotondi un polo didattico dell’università
in collaborazione con Unitelma La Sapienza di Roma. Saremo così il primo polo
didattico in Italia che accoglie gli studenti dalla scuola dell’infanzia
all’università. Questo ci permetterà di avere una visione unitaria e
complessiva sull’uomo proponendo modelli educativi antropocentrici e capaci di
stimolare il nuovo umanesimo in una dimensione interculturale e internazionale
di cui necessita la nostra nazione.
In questo nuovo anno ci sostenga e ci aiuti lo sguardo di Gesù che
ci insegna ad andare oltre l’apparenza. Uno sguardo che sa vedere oltre i
limiti, i peccati e le fragilità dell’uomo dandogli nuove possibilità e
aprendogli orizzonti sconfinati. Sia il Suo sguardo a guidare i nostri sguardi
per educarci al vero e unico pensiero che libera l’uomo: al vero umanesimo.
IL RETTORE
Don Andrea
Cattaneo
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