Carissimi,

nel nuovo anno scolastico porteremo a compimento i festeggiamenti per i 425 anni del Collegio Rotondi. Custodiamo con grande riconoscenza l'incontro avuto con il Santo Padre sabato tre febbraio: la Sua presenza, nonostante la debolezza e la fatica di quei giorni, mi ha aiutato a individuare il tema pastorale che accompagnerà il nuovo anno. Avendo dialogato personalmente con il Santo Padre, ho notato il suo volto stanco i suoi occhi affaticati ma nel suo sguardo ho percepito tutta la passione per la missione che gli è stata affidata.

Questo incontro ha suscitato in me il desiderio di dedicare il prossimo anno per educarci a vivere la vita “con passione” riscoprendo l’importanza del vivere con sentimenti di compassione.

La passione per la vita e la compassione, intesa nella sua accezione positiva, diventano due valori da riscoprire nel contesto moderno dove si assiste all'avanzare dell'intelligenza artificiale e alla progressiva sterilità delle relazioni.

Il sentimento della compassione e il vivere ogni esperienza della vita con il bagaglio delle emozioni che si sintetizzano nel vivere “con passione”, non potrà certamente essere sostituito da qualsiasi forma di intelligenza artificiale: una macchina non potrà mai provare compassione, vivere di emozioni e metterci tutta la passione nella realizzazione di una impresa.

Pur riconoscendo l'importanza e la ricchezza della realtà virtuale e artificiale, non possiamo rassegnarci a questo stile di vita che progressivamente inibisce le nostre emozioni e rende sterili i rapporti interpersonali.

E’ necessario sviluppare, come insegnava McLuhan, sociologo canadese, veri e propri “controambienti” famiglie, scuole, imprese, associazioni – in grado di sollecitare le capacità intellettive e spirituali trascurate nell’ambiente mainstream, come ad esempio la lettura di un libro, la contemplazione attraverso la natura, l’arte, la meditazione, l’incontro con persone di razza ed etnia diverse, l’esercizio dell’empatia e delle competenze che rendono possibile la convivenza con l’altro facendo percepire l’urgenza del vivere relazioni autentiche.

Senza una educazione a sperimentare la realtà circostante, ad aprirci alla bellezza della vita e dell’universo, vivendo le nostre emozioni in pienezza, diventa impossibile educare le nuove generazioni ad esercitare la creatività, l’empatia, il dubbio, la critica e in ultima istanza la libertà.

Solo dall’alleanza dei tanti che, nonostante tutto, rimangono ancora capaci di vivere con passione, il mondo avrebbe più possibilità di risanarsi: a salvarci non sarà la tecnica, l’intelligenza artificiale, ma la passione per la bellezza. Ad un mondo interconnesso che si accontenta di relazioni virtuali noi proponiamo un mondo pieno di passione e di emozioni, capace di provare quel sentimento, impossibile se non all'uomo, che è la compassione.

Molti confondono la compassione con l’empatia, perché la scambiano con la capacità di mettersi nei panni dell’altro. In realtà si tratta di due atteggiamenti diversi: l’empatia è la percezione che abbiamo dei sentimenti, pensieri e agìti altrui, mentre la compassione è un’emozione positiva che si manifesta quando non solo percepiamo la sofferenza o lo stato d’animo di un’altra persona, ma quando cerchiamo anche di sostenerla. La compassione quindi va oltre l’empatia, ponendosi ad un livello più alto. Compassione significa letteralmente ‘soffrire-con’ (dal latino ‘cum-patire’) e richiede la capacità di riconoscere ciò che prova l’altro, senza giudicarlo.

La compassione può essere vissuta attraverso l’empatia, l’attenzione e la gentilezza. L’empatia ci permette di comprendere le emozioni degli altri, l’attenzione ci fa avvertire le loro necessità, mentre la gentilezza ci permette di essere presenti e di agire per alleviare la sofferenza.

La compassione ha numerosi vantaggi nella fase della crescita. Quando ci concentriamo sulle necessità degli altri, riusciamo a creare relazioni significative e positive.

Patrizio Paoletti in “Perdono Gratitudine Compassione”: La compassione alberga in colui che ha gli occhi aperti su se stesso e guardando il mondo si riconosce parte di esso, nel limite e nella possibilità, impegnandosi a cogliere la possibilità e a ridurre il limite. La compassione vive in colui che compie l’azione della cessazione del delirio di onnipotenza valutando giustamente la condizione umana, le sue miserie. Soltanto un essere compassionevole rappresenta il vero vantaggio per il mondo, non perché egli faccia più degli altri sforzi per migliorarlo, ma perché egli più degli altri rappresenta il traguardo a cui l’umanità deve giungere. (Patrizio Paoletti, Perdono Gratitudine Compassione, p. 6)

Compassione in quanto «soffrire-con» (cum-patire) richiede la capacità di riconoscere ciò che prova l’altro, senza giudicarlo. Basterebbe questo per evitare tutti quei giudizi affrettati e per nulla segno della misericordia che aleggiano nelle relazioni. Rileggere la propria situazione confrontandola con il resto dell’umanità significa anche riconoscere che la sofferenza o il fallimento che vedo in altri sarebbero potuti accadere anche a me. Gli ostacoli alla compassione sono spesso legati all’incapacità di riconoscere questa comune situazione, fino alla negazione dell’umanità e della fragilità di me stesso e dell’altro.

Il cristianesimo è la religione della compassione perché annuncia Dio che non è indifferente alle vicende di ogni uomo e si rende vicino condividendo anche gli aspetti più tragici dell’esistenza. Nella Bibbia l’esperienza dell’esodo e la redenzione, culminante con la morte e risurrezione di Gesù, sono i frutti più belli della compassione di Dio.

Il termine ebraico per la compassione, rahamim, fa riferimento letteralmente all’utero, ricorda l’amore viscerale della madre per il figlio (in Is 49,13-16 è espresso dal termine rehem, che indica l’utero). Il suo equivalente greco (splanchnizomai) è presente in pagine celebri del Vangelo, come la parabola del figliol prodigo ( Lc 15,20), o del re che condona il debito enorme del servo (Mt 18,27), e ricorda i sentimenti stessi di Gesù nei confronti dell’umanità debole e sfinita Mt 9,36. La compassione è anche l’atteggiamento che anima coloro che nel nome di Gesù si spendono per gli ultimi, senza che questo sembri apparentemente cambiare la loro condizione, scoprendo invece che anche le situazioni più disperate possono aprirsi a possibilità inedite.

Tutto il Vangelo di Gesù è intriso della grammatica di passione e di compassione. Lui mette tutte le sue forze, tutto il suo intelletto, il suo spirito e tutto il suo desiderio nel portare a compimento il progetto che Dio Padre ha pensato al fine di salvare l'umanità. Più volte nel Vangelo viene detto che Gesù prova compassione, e alla vigilia del suo ingresso a Gerusalemme l'evangelista usa questa espressione “firmavitfaciem suam ” che potremmo tradurre così: “il suo sguardo si fece duro e determinato” nell'entrare nella città di Gerusalemme per celebrare la sua passione.

Significativa è anche l’esperienza iniziata a Calcutta da madre Teresa del Nirmal Hriday, l’edificio dove ogni giorno si portano malati terminali e moribondi, la maggior parte dei quali è destinata in breve a morire. Un lavoro in apparenza inutile e sfibrante, che fa sorgere il dubbio sul senso di tutto ciò. Eppure, si resta colpiti dal clima che regna in quel luogo di sofferenza e di morte: un clima di gioia e di benedizione, come se quegli ambienti fossero davvero visitati ogni giorno da Cristo; le suore e i volontari ritengono un privilegio il potersi occupare di questi malati sconosciuti per permettere loro di vivere gli ultimi attimi della loro vita con qualcuno accanto che dimostri loro quell’amore che non hanno mai ricevuto da nessuno in vita.

Educare alla compassione significa quindi aiutare i discenti ad avere una mente ed un cuore aperti all'accoglienza, essere attenti alle fragilità altrui, sorreggere gli altri nei momenti di debolezza e soprattutto astenersi dai giudizi negativi che indicono a discriminare quanti si ritengono ingiustamente “diversi”.

Nello stesso tempo questo percorso educativo conduce gli alunni a guardare con uno sguardo puro e positivo la diversità educandoli a farsi carico della fragilità altrui. Sono convinto che non si dà vera integrazione senza uno sguardo compassionevole.

È compito del docente educare a uno sguardo compassionevole che sia lontano da ogni tipo di giudizio di superiorità. Il compassionevole è capace di rispetto e anche stimolato a farsi carico delle fragilità altrui sostenendole con l'esempio e con l'aiuto concreto.

Non possiamo dimenticare lo stretto legame che esiste tra la compassione e l’impegno negli agìti e nelle scelte che definiamo comunemente con il “metterci passione”

Chi esercita l'arte della compassione è chiamato ad affrontare l'avventura del vivere in modo appassionato, donando con gioia tutto sé stesso. Lo sviluppo delle nostre qualità e la realizzazione dei nostri desideri più profondi sono il frutto di un lungo cammino fatto di allenamento, perseveranza, accettazione delle sconfitte e presa di coscienza delle vittorie. Il cammino evolutivo chiede di essere affrontato con costanza. Occorre dunque educare le nuove generazioni al vivere con passione ogni azione che intraprendono.

Vivere con passione significa mettere tutte le energie intellettuali, emotive e fisiche possibili per il raggiungimento degli obiettivi che ci si è prefissati, anche quelli apparentemente impossibili, come insegna l’esperienza di Madre Teresa.

Uno studente che vive con passione lo studio non si accontenta dei risultati minimi, ma cerca di raggiungere le vette più alte consentite dalla propria storia personale e grazie alla compassione riesce ad affrontare anche i piccoli fallimenti che incontra nel cammino.

Ci sono molti esempi di uomini e donne che nonostante il bagaglio di fragilità emotive e intellettuali sono riusciti comunque a compiere grandi azioni e opere nella loro vita.

Il contrario del vivere con passione è il lasciarsi vivere o il vivere una vita al ribasso, puntando al minimo, cercando scorciatoie che passano attraverso l'imbroglio e la menzogna per raggiungere gli obiettivi in modo scorretto, generando così una frustrazione interiore.

Occorre educare le nuove generazioni attraverso l'esempio: siamo noi adulti i primi a dovere dimostrare passione per la vita e per le attività che svolgiamo partendo da quelle più quotidiane e scontate.

Il sottotitolo del tema dell'anno: “nulla per forza tutto per amore” lo prendo da una frase che feci affiggere alla bacheca dell'oratorio di Cinisello Balsamo nei primi anni del ministero. Molti adolescenti e giovani dinanzi a proposte serie e impegnative mi ponevano questa domanda: “devo farlo per forza?” E la risposta che maturò nel tempo fu proprio questa.

Fare le cose per obbligo, peggio ancora sotto minaccia o sotto ricatto, non porta a una crescita armonica e globale dell'individuo. In questi casi ci troveremmo di fronte a un individuo ubbidiente che esegue degli ordini o compie delle azioni non perché ne è convinto o appassionato ma solo perché è obbligato. Dobbiamo educare generazioni appassionate, che operino non per dovere ma per passione, e anche laddove un’azione vada compiuta per dovere, che imparino ad amare il dovere.

Dobbiamo educare alla passione e far comprendere come la passione sia l'unica strada possibile per vincere la monotonia della vita. La passione, quando accompagnata dalla compassione, può compiere opere straordinarie.

Tolstoj diceva che «annoiarsi significa desiderare». I nostri alunni, i nostri figli sono appassionati? Di cosa sono appassionati? In cosa mettono tutta la loro energia e le loro forze? Hanno la possibilità di sperimentare la noia? Il fatto che un bambino non si sappia annoiare di solito è sintomo che è iperstimolato. Non dimentichiamoci che la noia è il preambolo della passione. Se lasciamo annoiare i piccoli, inizieranno ad essere creativi e a mettere in moto le loro funzioni esecutive (pianificazione, attenzione, memoria di lavoro, ecc. ) mettendoci tutta la grinta e la passione possibile. Se al contrario concediamo tutto e rendiamo loro la vita troppo semplice dimenticheranno la passione e il desiderio di compiere opere grandi.

La noia non è un grido d'allarme che ci deve trasformare in animatori di giochi o organizzatori di eventi straordinari. Non è necessario occupare tutte le loro ore, lasciamoli sviluppare le loro passioni.

La vita ordinaria è già abbastanza interessante: bisogna aiutarli a riscoprire lo straordinario dell'ordinario. E questo straordinario sta proprio nel far comprendere loro come la passione sia l'ingrediente fondamentale per vincere la noia e il malessere.

È chiaro, dunque, che sia la compassione che il fare le cose con passione sono due qualità che devono essere coltivate e che non potranno mai in nessun modo essere sostituite dall'intelligenza artificiale.

Perché esistono persone entusiaste, positive, che vivono la vita con positività e altre invece che sono sempre stanche, arrabbiate e insoddisfatte della vita?

Per avere uno stile di vita appassionato occorre avere “meraki”, parola dal greco antico che indica l’amore con cui facciamo le cose. Anche se di difficile traduzione potrebbe significare: “vivi la vita e fai tutto con l’anima, con la creatività, con l’amore, con la passione”. Concretamente significa mettere noi stessi dentro le cose che facciamo. Questo è facile riscontrarlo negli atleti, negli artisti e in coloro che hanno realizzato la loro vocazione in modo particolare; per noi cristiani i Santi sono un vero modello che incarna questo stile di vita, perché ci insegnano che la passione porta alla soddisfazione e questa vince la noia e il pessimismo.

Spesso la “meraki” è dentro di noi, si tratta solo di saperla cercare. Ma come? Una passione inizia con la curiosità. Sin da piccoli siamo attratti dalle cose che ci incuriosiscono e quando diventiamo grandi spesso finiamo per dedicarci in qualche modo a una delle cose che nella prima fase della nostra vita ci hanno colpito o attratto particolarmente. Una semplice curiosità però non è sufficiente senza un reale coinvolgimento ed è questo il punto in cui è importante riscoprire la centralità delle passioni.

Il coinvolgimento trasforma la curiosità in partecipazione attiva attraverso lo svolgimento di una qualche forma di attività legata a ciò che ci incuriosisce. Per una persona incuriosita dal suonare il pianoforte, ad esempio, il passaggio alla fase del coinvolgimento potrebbe essere rappresentato dall’iniziare a prendere lezioni per imparare a suonare lo strumento.

A questo punto subentra l’importanza della perseveranza: il tempo. Dedicare del tempo ai propri interessi in modo regolare e ripetuto li alimenta e li rafforza. Il tempo diviene sinonimo di perseveranza e resistenza. Le passioni non sono altro quindi che la curiosità e il coinvolgimento che si intrecciano per tanto tempo con la tenacia.

In questo anno ci accompagneranno alcune figure di Santi che nella loro vita, sperimentando l'importanza della passione e dell'ardore per l'annuncio del Vangelo, hanno saputo vivere l'arte della compassione. Modelli di uomini e di donne che non hanno fatto nulla di straordinario ma che hanno vissuto l'ordinario in modo straordinario.

Cercheremo dunque di comprendere come l'intelligenza artificiale, potenziale da valorizzare, ma anche possibile rischio da conoscere, non sia comunque in grado di sostituire totalmente l'uomo nelle sue funzioni tipicamente antropologiche. Questo tipo di intelligenza non potrà mai provare emozioni e non potrà mai metterci passione in quello che sta facendo o producendo. Riscoprire questi due valori aiuta sicuramente l'umanità a non dimenticare che l'uomo è fatto di relazioni e le relazioni sono fatte di emozioni.

Noi adulti ci impegneremo quindi ad aiutare i più giovani nella scoperta delle loro emozioni, non privandoli della possibilità di sperimentare anche quelle negative ed educandoli a passare attraverso la compassione quale unica via per essere veramente inclusivi. Siamo consapevoli che i più piccoli guardano a noi, sarà quindi il nostro esempio, frutto della passione e dell'impegno profuso in ogni attività e iniziativa, ad essere per loro uno sprone e un modello. Ci impegniamo anche a evitare di insegnare loro la scorciatoia e l'imbroglio per poter ottenere i risultati. Vogliamo educarli al senso del sacrificio e della fatica che passa attraverso la passione per la vita. Chiediamo loro di impegnarsi con tutta la passione non oltre le loro capacità, rispettiamo cioè quei limiti che ciascuno di loro ha, cercando di valorizzare i talenti e potenziandone tutte le qualità. Evidentemente non mancheranno momenti nei quali sottolineeremo l'importanza della conquista frutto della passione e della perseveranza.

Ultimamente si punta troppo sulle prestazioni e troppo poco sui sentimenti, siamo circondati da troppo egoismo e da un pericoloso impoverimento emotivo.

Un figlio per diventare adulto deve essere messo nella condizione di arricchire il suo bagaglio di valori. Come docenti e educatori nel prossimo anno non baseremo il nostro giudizio solo sulle prestazioni, ma gradueremo il percorso di crescita umano.

Voi, cari studenti, impegnatevi a vivere delle relazioni profonde, non precludendo a nessuno di entrare in relazione con voi. Imparate a provare compassione, cioè, domandatevi sempre che cosa stia pensando l'altro in quel momento e che emozioni stia provando. Non abbiate paura a farvi questa domanda: “e se quello che sta vivendo il mio compagno dovesse succedere a me?”.

Vi vogliamo grintosi ed entusiasti non solo del percorso scolastico, ma appassionati di tutte le occasioni che la vita vi dona. Metteteci passione, grinta, entusiasmo. Per una volta ricordatevi che non è il risultato che conta ma sono l'impegno, il sacrificio e la perseveranza che vi sono dietro quel risultato.

L'intelligenza artificiale rischia di rendere l'umanità più povera e tendenzialmente più ignorante. Più povera perché inibirà progressivamente tutte le qualità tipiche dell'essere umano, più ignorante in quanto il sapere rimarrà in mano ai pochi che continueranno a studiare e ad approfondire e che non si accontenteranno di quello che verrà loro proposto da questo tipo di intelligenza. Se ad oggi si calcola che la conoscenza e la cultura siano in mano al 20% della popolazione mondiale, intravedo il grande rischio che questa percentuale diminuisca drasticamente con l'avvento dell'intelligenza artificiale.

Ricordatevi che cultura è sinonimo di libertà: solo chi studia, ricerca e si informa arricchendo la sua conoscenza con passione è veramente libero.

Iniziamo questo anno, chiedendo a Dio la grazia di perseverare nell’entusiasmo degli inizi anche quando il cammino si farà pesante e impegnativo.


Buon anno scolastico a tutti!


Don Andrea Cattaneo

RETTORE

 
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